Pensieri amari per i Ragazzi del Piccolo America

Pensieri amari per i Ragazzi del Piccolo America

Non li avevo mai nemmeno sentiti nominare, i Ragazzi del Piccolo America, fino al brutto episodio che ha infiammato le cronache di questi giorni. Li scopro ora, grazie a un post delle Edizioni La Meridiana che mi indica il loro sito (guardatelo, leggete: è importante).

Avrei voluto che anche i miei 20 anni fossero così, come sono i loro oggi. Purtroppo, nella prima metà degli Anni 80 (sono nata alla fine del 1963), resistere voleva dire, per molti di noi, opporsi al dilagare del disimpegno e contemporaneamente sopravvivere all’onda – il cui urto era spaventoso – del terrorismo, che aveva paralizzato quasi ogni nostra possibilità di dire, di fare, persino di sognare, mentre bloccava anche ogni possibilità di rielaborare gli orrori del fascismo, della dittatura, dell’alleanza con il nazismo, delle persecuzioni razziali e civili e politiche…

Eravamo soli, noi ventenni di allora, dispersi, separati dai nostri fratelli più grandi, invitati ogni giorno a dedicarci a un vuoto (erano i giorni del “riflusso”) che non era rilevante per alcun progetto collettivo, ma che era indispensabile a offrire una via verso l’oblio a tutti coloro che si ritrovavano incapaci di riconoscere e di assumersi le responsabilità degli orrori presenti e passati.

Resistenza, per me, fu in quegli anni scoprire modi nuovi di interpretare la solidarietà tra le generazioni, imparare a ricercare ogni via di uscita possibile dalla paralisi, lavorando all’animazione sociale. Cercavamo – in pochi, purtroppo- di creare legami fino a poco prima impossibili, credevamo fermamente nella prevenzione sociale primaria, che evita il manifestarsi del disagio, perché lo anticipa attraverso circuiti virtuosi. Volevamo imparare a vincere la forza dei pregiudizi e delle contrapposizioni sterili, tentavamo di guardarci intorno con occhi nuovi, attenti a sentieri praticabili e ancora inesplorati. Eravamo più goffi, meno colti, meno allegri, più spaventati… e avremmo voluto essere come sono oggi questi ragazzi del Piccolo America. Abbiamo lavorato tanto, pochi anni dopo, da genitori, perché il male che sembrava obbligare la nostra generazione al nulla dilagante non cadesse anche sulle spalle dei nostri figli, che hanno la stessa età dei Ragazzi del Piccolo America. Tante volte, con i miei coetanei, ci siamo detti che il compito della nostra generazione forse era proprio questo: proteggere i nostri figli dalle spinte oscure (perché magmatiche, inconsce e non elaborate né mai davvero ascoltate) del passato. Eravamo decisissimi a fare da muro, per loro; non volevamo nascondere nulla del poco che sapevamo sugli anni più bui del ‘Novecento nel nostro Paese, desideravamo prendere posizioni nette, chiare che però non si limitassero alla condanna o alla ricerca dell’oblio, ma che cercassero – nell’assunzione di responsabilità – una via di uscita onorevole, per noi e per chi ci aveva preceduto.

Per questo i rigurgiti fascisti di oggi ci lasciano senza parole, smarriti come eravamo da adolescenti, in questa nuova, disinvolta cornice che lascia spazio e addirittura sembra incoraggiare forme di prepotenza e di negazione dell’altro di cui abbiamo sempre avuto paura, perché da adolescenti ne abbiamo subito direttamente le orribili conseguenze.

Chi di noi non si era rassegnato, allora, al “gioca-jouer” al quale sembravamo inesorabilmente condannati, non si capacita, oggi, del “prima io, prima noi!” abbaiato quotidianamente dai più alti rappresentanti delle istituzioni, non riesce ad accettare il tono canzonatorio del ministro dell’Interno mentre bullizza un ragazzo che viene pestato dai suoi sostenitori solo perché ha esposto una sciarpa con la scritta “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Poi accade che un gruppo di trentenni fascisti arriva ad aggredire e malmenare ragazzi più giovani, i nostri figli, questi splendidi ragazzi del Piccolo America, solo perché rifiutano la logica del ghetto simbolico, della paura, dell’autosegregazione negli spazi asfittici che la collettività lascia oggi a chi ha pochi anni e molti sogni, molte speranze, molta fiducia.

E noi, che abbiamo mancato a noi stessi, perché, allora, abbiamo fatto sacrificio delle nostre speranze, schiacciate da tempi più grandi, più ottusi e più duri di quanto potevamo reggere, noi che ci eravamo illusi di aver almeno difeso proprio loro, i nostri figli, sentiamo addosso il peso del fallimento.

E ci chiediamo come sia potuto accadere che il progetto di libertà, giustizia e soprattutto di ri-umanizzazione al quale avevamo improntato i nostri sogni di ragazzi stia soffocando, ancora una volta, schiacciato dalla nuova barbarie, dalla nuova ondata di de-umanizzazione dilagante.