La parola “filosofia” viene generalmente usata a designare il lato teoretico (un’astrazione il più delle volte) di quell’attività che nella sua totalità soltanto dovrebbe aver diritto a questo nome.
Piero Martinetti
Viviamo in un mondo confuso.
Tutto cambia a ritmi vorticosi; storie, miti, abitudini che solo pochi decenni fa erano estranei l’uno all’altro si mescolano creando intrecci sorprendenti e inestricabili; le distanze si riducono o si ingigantiscono secondo regole nuove e sconosciute; spazio e tempo sembrano diventare elastici, a volte si annullano del tutto.
Persino le polarità tra opposti spostano il perno delle loro bilance, al punto che tradizione e innovazione, giusto e sbagliato, importante e irrilevante, buono e cattivo… appaiono coppie di concetti sempre più difficili da mettere a fuoco nella loro relazione. Tutti i riferimenti sembrano saltare, aumenta il senso di smarrimento.
Sul pianeta sfruttato, deprivato dei suoi equilibri, dove molti esseri animati o inanimati possono solo languire o spegnersi a vantaggio della mostruosa agiatezza di pochissimi altri, che cosa resta a orientare i nostri passi concreti, nella quotidianità piccola, spesso non-pensata delle nostre vite? Che cosa indica una direzione se le tradizionali “agenzie del senso” (religioni, chiese, ideologie), incapaci di nuove interpretazioni e sollecitazioni, sembrano aver perso autorevolezza?
In questo caos può venirci in aiuto la filosofia, nella sua concreta, accorta proposta originaria, come la racconta Pierre Hadot nei suoi libri. La filosofia occidentale delle origini, che affiancava alle teorie sul mondo, sulla vita, sull’essere umano la concretezza degli esercizi e delle pratiche, il cui scopo era quello di “convertire” la vita del praticante filosofo perché si avvicinasse il più possibile ai principi fondamentali.
È possibile riscoprire oggi la funzione di “formazione dell’anima” che era alla base della filosofia antica? È possibile restituire la dignità di filosofia all’esercizio, allo studio, alla cura regolata del corpo e dell’anima, alla ricerca spirituale, all’ascolto e al confronto rispettoso, perseguiti con costanza e disciplina? È possibile rimettere al centro la ricerca di ogni essere umano che si incammina in questa direzione pratica, riconoscendo nella sua biografia il testo fondamentale di questa filosofia antichissima e nuova?
È possibile praticare insieme, come in una preghiera laica dove ciascuno rivolge pensieri e cuore nella propria, personale direzione? E restituire alle differenze di opinioni, idee, pensieri, fedi, lo statuto di ricchezza che ogni bio-diversità deve avere?
Credo sia possibile, forse addirittura necessario per restituire senso alle nostre vite, smarrite nell’illusione egocentrica e fallimentare di dominio/consumo del mondo e degli altri.
Praticando la filosofia, e praticandola insieme, si giunge rapidamente alla meraviglia profonda per la nuova, autentica scoperta di ciò che è altro-da-me: di ciò che, essendo oltre “l’io”, lo trascende e – in quanto trascendente – è un mistero inesauribile. Ecco, dunque, che “l’altro” assume le fattezze dell’umanità vicina o lontana, del mondo-natura, del racconto di sé finalmente privo di maschere, persino i contorni del mito fondante al quale ciascuno scopre di appartenere.