Alla fine, ci abbiamo messo nove ore ad arrivare a casa. 1 alla stazione di Firenze Santa Maria Novella per cercare un treno che ci riportasse a Milano dopo la soppressione del nostro e 8 di viaggio, 6 delle quali di ritardo (ma per chi era già sul treno, partito da Napoli, il ritardo era di 7 ore). A parte alcune intemperanze – mai andate oltre le proteste a voce alta – siamo rimasti buoni, in silenzio, rassegnati, aspettando una soluzione. Un viaggio in un treno strapieno di gente civile, in sconsolata attesa. E chiusa in un ambiente soffocante, senza potersi lavare le mani, senza poter aprire i finestrini o le porte per cambiare aria durante le lunghissime soste. Senza poter seguire gli accorgimenti prudenziali che le autorità consigliano per non propagare il contagio: evitare luoghi affollati, lavarsi le mani, disinfettare i bagni pubblici…
Il nostro forse era il treno con il ritardo-record, ma ce n’erano altri e tra passeggeri di tratte diversi si chattava e ci si aggiornava. Vagoni e vagoni carichi di persone mansuete e solo un po’ irritate. Un disagio muto: siamo civili e non vogliamo creare ulteriori difficoltà. A chi, poi? Al personale delle FFSS, intrappolato con noi e impeccabile, nonostante tutto? Disagio muto che si velava di incredulità e di una lieve indignazione, mentre passavano lente le ore e cominciavano a filtrare le notizie. Un capostazione di Casalpustrlengo positivo al corona-virus mette l’Italia in ginocchio? Ma com’è possibile? È possibile, è possibile: ci vuole un po’ di fortuna, ma è possibile.
Ecco come: bisogna che qualche settimana prima ci sia stato un brutto incidente sulla linea dell’alta velocità, proprio dalle parti di quella che sarebbe diventata di lì a poco la zona rossa del contagio. La linea AV ancora interrotta, la deviazione sulla linea dei treni più lenti, le piccole stazioni che accolgono i grandi treni rossi in transito. Ma non basta ancora: bisogna che una persona in servizio (una, una sola) si senta male proprio nella stazione al centro del focolaio dell’epidemia coronata.
Et voilà, il gioco è fatto. Nessuno vuole sostituirla. Lo ripeto perché nel paese di eroi che ci piace dire che siamo lo trovo davvero spaziale: NESSUNO VUOLE SOSTITUIRLA. Potrebbe (POTREBBE) sentirsi male a causa del virus e nessuno vuole essere contagiato. Quindi si chiude la stazione per decontaminarla e pazienza se – con l’alta velocità già in ginocchio – questo significa paralizzare metà Paese. Le porte dei treni si chiudono, non importa chi c’è là dentro. Non importa se si vanno a creare situazioni forzate che costituiscono l’esatto contrario di quello che le ordinanze regionali ci ingiungono. Non importa: noi svuotiamo le scuole e contemporaneamente blindiamo treni stracolmi di passeggeri regolari e di profughi dei treni soppressi.
Il virus regale non era a Casalpusterlengo, per fortuna: la funzionaria che si è sentita male (a lei tutta la mia solidarietà) era negativa ai test. Forse, però (chissà?), il piccolo, vivacissimo ospite coronato si stava facendo un viaggio in treno… chissà se c’era anche lui, con noi passeggeri mansueti, ieri? Chissà come ci è andata? A me, che sono sana, sicuramente bene. Ma con me viaggiava anche un certificato di immunodepressione, non a nome mio, ma del passeggero che avevo accanto: certificato fresco fresco, appena firmato da un immunologo. A lui, e a tutti quelli come lui – che sono tanti e sono la principale ragione di tutte le misure d’emergenza di questi giorni – gli auguri più sinceri, da parte di FFSS e degli eroi che si sono sottratti, prudenzialmente, ai turni di sostituzione a Casalpusterlengo.